martedì 24 aprile 2007

Il Gatto del Rabbino

Algeria, anni '20. Il gatto del rabbino divora il pappagallo di casa e acquista il dono della parola, ma dalla sua bocca escono solo bugie. Il rabbino teme che possa avere un cattivo effetto sulla figlia e il gatto, per poter rimanere accanto alla sua adorata padrona, chiede un'istruzione religiosa che lo trasformi in un buon ebreo. Ma si ostina a mettere in discussione tutte le affermazioni del suo maestro... Dotato di indipendenza e spirito critico, il gatto ama i dubbi e le contraddizioni dell'animo umano, le persone tormentate più di chi professa certezze assolute. Soprattutto ama i suoi padroni, al punto da trasgredire per loro una regola fondamentale con l'effetto diritrovarsi, di nuovo, muto. L'ironia e la comicità che caratterizzano la prima parte si attenuano quando il gatto perde la parola e l'autore si concentra di più sugli altri personaggi, costruendo una storia che parla di sentimenti, ma anche del loro rapporto con la religione e con una diversa cultura, quella francese. Una storia che ancora una volta lascierà nei suoi protagonisti più dubbi che certezze. Degli interventi del gatto si sente la mancanza, anche se il suo commento, pur inespresso a voce alta, continua ad accompagnarci. Tuttavia i personaggi risultano ben costruiti e la vicenda coinvolgente e non banale.
Il disegno è semplice e un po' caricaturale, anche se a volte incontriamo immagini realistiche del nostro protagonista felino, probabili ritratti di Imhotep, il gatto dell'autore. Nella versione pubblicata da Rizzoli, Il Gatto del Rabbino di Joann Sfar raccoglie i primi tre episodi, collegati fra loro anche se leggibili singolarmente, di una serie che spero destinata a proseguire.